
Pillars of Eternity II: Deadfire
Sviluppatore: Obsidian Entertainment
Publisher: Obsidian Entertainment
Genere: RPG
Disponibile: Digital (Early Access)
Lingua: Inglese
Data di lancio: 3 Aprile 2018
Quando, nell’ormai lontano 2012, era stato annunciato quel Project Eternity che sarebbe stato destinato a diventare, di lì a qualche anno, Pillars of Eternity, ammetto di aver accolto la notizia con molto interesse. Nei meandri del web, tra forum specializzati e gruppi Facebook, potranno ancora trovarsi i commenti entusiastici di un ingenuo e saltellante Ilya Muromets, pronto a versare cifre cospicue in favore della campagna Kickstarter promossa da Obsidian. Non fui evidentemente l’unico, visto che Pillars si rivelò uno dei maggiori successi su piattaforme di crowdfunding, e si comportò molto bene anche una volta giunto sugli scaffali virtuali di tutto il mondo. Successi di critica, recensioni per lo più estremamente positive, vecchi appassionati di RPG isometrici in lacrime per il ritorno dell’autentico gioco di ruolo, pronto a colmare il doloroso vuoto rimasto dai tempi dell’Infinity Engine e di Baldur’s Gate.
Di là dalle distorsioni storiche che sempre si verificano quando l’emozione prende il posto dell’analisi, la pubblicazione di Pillars rappresentò un punto di svolta nella microstoria del cRPG isometrico, a causa della sua natura marcatamente retrospettiva sfruttata come chiave di volta della campagna promozionale. Laddove il quasi coevo Divinity: Original Sin carambolava sulla scena con l’irruenza rivoluzionaria di un adolescente energico, reinterpretando con freschezza una nobilissima tradizione (Ultima VII), Pillars si sigillava con snobismo intellettualoide – al 90% conferito dal tocco inequivocabile di Avellone (qui la mia intervista) – all’interno di una guscio impermeabile, puntando su quella sorta di dolceamaro ennui nostalgico che è peste e disgrazia dei tempi moderni.
Proprio questa orgogliosa, granitica immutabilità ha rappresentato la ragione principale del successo di Pillars, nonché lo stimolo per la produzione di vari epigoni. Tutti insieme, essi hanno contribuito a definire un vero e proprio “genere alternativo” che dovremmo cominciare a distinguere nettamente dai progressi del RPG isometrico contemporaneo – soprattutto per rispetto di quegli sviluppatori che non si limitano a immettere sul mercato reskin di Baldur’s Gate reintitolate in altro modo, e molto spesso peggiori del modello di riferimento. Per quanto mi riguarda – come forse si sarà compreso dalle recensioni di titoli come Tyranny (qui la mia recensione) o Torment: Tides of Numenera (qui la mia recensione) – ritengo il filone inaugurato da Pillars come concettualmente equivoco, ludicamente inconsistente e tutto sommato privo di valore nell’ottica di un’evoluzione del genere. Lo si ricorderà probabilmente in futuro come oggi si ricordano quei disturbanti salottini affrescati della borghesia napoleonica che imitavano i triclini degli antichi Romani.
Con spirito piuttosto scettico (ancorché preventivamente rassegnato) mi sono dunque dedicato a questa closed-beta riservata alla stampa di Pillars of Eternity II: Deadfire, secondo capitolo del “progetto Eternity” la cui uscita è prevista per il prossimo aprile. Il materiale messo a disposizione a questa data, seppure ben confezionato, è assai ridotto nelle dimensioni, trattandosi di una porzione di avventura che – stando a quanto dichiarato – rappresenterebbe soltanto l’1% dell’intera esperienza. Risulta anche impossibile valutare aspetti fondamentali dal punto di vista contenutistico, come per esempio la natura e lo spessore dei compagni di squadra, giacché il party a disposizione del beta-tester è composto da generici personaggi di classi diverse, utili solo a sperimentarne l’uso in combattimento.
Sebbene l’ambientazione generale sia rimasta la medesima, ossia il mondo di Eora, il setting specifico sembra essere cambiato rispetto alle atmosfere del primo gioco. Ci si muove qui entro un contesto squisitamente marittimo, quello dell’arcipelago Deadfire, le cui isole sono raggiungibili attraverso l’uso di una nave a disposizione del party – una delle principali novità proposte da questo titolo, e non la sola. Obsidian ha infatti dichiarato di aver introdotto alcuni importanti cambiamenti rispetto al passato, che includono dettagli di ordine “cosmetico” (una maggiore varietà di asset per la personalizzazione dell’avatar giocante, effetti speciali più sofisticati etc.) e più significativi miglioramenti sul piano della giocabilità (party ridotto a cinque protagonisti, sistema di retargeting degli incantesimi, possibilità di modificare l’intelligenza artificiale dei compagni nel dettaglio, introduzione di alberi di abilità di più facile lettura, etc.). Nonostante la closed-beta fosse estremamente limitata nei contenuti, è stato possibile sperimentare alcune di queste migliorie sul campo, e appare evidente l’impegno degli sviluppatori per sistemare alcune delle molte “ruggini” del primo capitolo.
Al momento di affrontare fattivamente la partita, tuttavia, ho dovuto constatare come lo scetticismo di cui sopra fosse del tutto fondato. Nonostante le migliorie, infatti, Pillars II non sembra in alcun modo volersi schiodare da certe pratiche di cupo conservatorismo luterano che rendono la sua proposta sostanzialmente inaccessibile (o comunque molto ostica) a chiunque non abbia inspessito la pellaccia con i prodotti dell’era Infinity. Passi l’ormai consueta assenza di qualsiasi manifestazione di humor – che pure tanta parte aveva avuto ai tempi di Baldur’s Gate e Planescape Torment – cosicché il tenore generale dei contenuti resta tarato su una costante espressione di tensione perenne. Passino anche alcune arcaiche scelte di game design evidenti sin nella fase di creazione del personaggio, e rimaste sostanzialmente immutate dai tempi di Icewind Dale: per dirne una, la messa a punto di un mago impone ancora l’assurdità di dover selezionare uno o due incantesimi da un’enorme lista di iconcine rappresentanti effetti del cui reale valore non è possibile avere alcuna consapevolezza, non avendo ancora cominciato a giocare. Possibile che a distanza di vent’anni non si riesca a immaginare una soluzione più leggera e funzionale, senza offendere l’integerrima moralità ludica del pubblico degli ultratrentenni?
A dare veramente fastidio sin da questa closed-beta è l’ipertrofia inaudita degli apparati testuali, che riescono ad essere persino più pachidermici e involuti rispetto a quanto già visto nel recente passato. Non mancano le decine di superflui incisi romanzeschi del genere “si lecca le labbra”, “si gratta il sopracciglio sinistro”, “controlla i lacci delle scarpe”, che poco o nulla contribuiscono nella costruzione dell’atmosfera, a maggior ragione perché i limiti tecnici dell’engine impediscono di esperire tali situazioni al di fuori del dettato verbale – comunque sempre limitato alla parola scritta, in assenza (temporanea?) di doppiaggio. Quello che risulta veramente incredibile, nel beneamato XXI secolo, è l’impiego del sistema di ipertesti, una fulgida idiozia introdotta proprio da questa new wave di RPG passatisti che nessun designer con un minimo di cervello, di Bioware come di Black Isle, avrebbe mai pensato di concepire. Invece di fornire al fruitore le conoscenze necessarie in modo graduale, coinvolgendolo nelle diverse situazioni per farlo sentire parte integrante del proprio universo, Obsidian ha ritenuto opportuno aggiungere delle finestre esplicative aggiuntive attivabili cliccando su specifiche parole evidenziate. L’espediente potrebbe risultare ancora accettabile nei menu e nelle fasi di creazione del personaggio – per quanto il bombardamento iniziale di toponimi, senza nemmeno aver avuto modo di guardare uno straccio di mappa, non sembrerebbe propriamente rispettoso della pazienza del povero ruolista. Ma le finestrine pop-up compaiono anche nelle finestre dei dialoghi, con un effetto da enciclopedia Encarta su CD-Rom che spezza irrimediabilmente qualsiasi immedesimazione, considerando anche che il dialogo rappresenta l’unica possibilità di interazione con il mondo di gioco – se si escludono il loot e il combattimento. Non solo: trovandoci all’interno di un’ambientazione isolana ed esotica, i personaggi infarciscono le conversazioni di termini ed espressioni scritti nella propria lingua di origine, naturalmente cliccabili. E ci si ritrova a dover usare il mouse per scoprire che l’oscuro lemma pronunciato dal capo villaggio durante un’importante conversazione significa “buongiorno”. Giuro.