NON APRITE QUELLA PORTA!

Outlast 2

Sviluppatore: Red Barrels
Publisher: Red Barrels
Genere: Survival Horror
Disponibile: Digital+retail (raccolta Outlast Trinity)
PEGI: 18+
Lingua: Italiano
Versione Testata: PS4
Ringraziamo il publisher per averci fornito una copia review

Era il 1974 quando nelle sale cinematografiche statunitensi usciva quello che in Italia sarebbe stato ribattezzato come Non aprite quella porta. Un successo senza pari, che giustificò la produzione di svariati sequel e remake nel corso degli anni, e inaugurò una nuova fase nella storia del cinema horror, prolungatasi almeno fino ai tardi anni ’90 e segnata da saghe immortali quali Halloween e Scream. Non c’è dubbio che il medium videoludico abbia saputo raccogliere, in tempi recenti, tale eredità: nel corso degli ultimi due decenni la categoria dei survival horror ha saputo spalancare nuovi territori per i cultori del genere, e l’offerta non accenna a subire flessioni. Con Outlast 2, gli sviluppatori di Red Barrels cercano di ritagliarsi uno spazio all’interno di questo affollato panorama: ci saranno riusciti?

Un piccolo riferimento “esterno” per cominciare: per chi non lo sapesse, la sesta stagione della serie televisiva antologica American Horror Story è ambientata in una colonia fantasma americana, chiamata Roanoke. La colonia è famosa per essere stata teatro di un evento inspiegabile nel XVI secolo: i coloni sarebbero infatti svaniti senza lasciare alcuna traccia, e ancora oggi ci si interroga sulle cause di questa strana vicenda. L’analogia con Outlast 2 è giustificata: anche in questo titolo i protagonisti hanno a che fare con un oscuro mistero ambientato in una piccola cittadina deserta degli Stati Uniti, per la precisione Temple Gate in Arizona.

AMERICAN HORROR STORY

Il cameraman Blake Langermann e sua moglie, la giornalista Lynn Langermann, giunti sul posto per girare un servizio televisivo, devono cercare di sopravvivere agli orrori che si nascondono nel villaggio spettrale, abitato da demoniache presenza e corrotto dalla malvagità più oscura. La storia di per sé è accattivante e riesce a tenere sulle spine il giocatore, anche se alcuni passaggi avrebbero potuto essere più approfonditi e più chiari; la sceneggiatura è comunque di alto livello, e fa leva su svariati colpi di scena e salti temporali tra passato e presente.

A livello di gameplay, il titolo dei Red Barrels mostra subito i muscoli immergendo il giocatore all’interno di un sistema survival in prima persona particolarmente riuscito. Vestendo i panni di una persona qualunque, infatti, non si hanno a disposizione particolari capacità di combattimento: si è dunque costretti a fuggire o a nascondersi per tutta la durata dell’avventura, che si attesta sulla decina di ore a seconda della difficoltà scelta fra le quattro disponibili (Normale, Difficile, Incubo, Folle). Bisogna ammettere che la componente stealth è di buon livello, ma poco originale di per sé e quasi per nulla innovativa rispetto al primo Outlast. In particolare, è frustrante constatare la presenza di oggetti contundenti e utensili affilati sparsi per le ambientazioni, ma rendersi conto di non poterli usare come armi di fortuna. Non si tratta di un problema gravissimo, ma non c’è dubbio che la credibilità di quanto succede sullo schermo ne risulti in parte minata. Non è plausibile che Blake non afferri nulla per cercare di colpire il nemico sopraggiunto, e che una volta scoperti ci si debba limitare ad assistere a un’animazione scriptata automatica che decreta la fine della partita.

Blake può comunque accovacciarsi e strisciare per terra, nascondersi nei barili, negli armadi, sotto i letti e i veicoli, e persino nell’erba e nella vegetazione alta. I nemici sono mossi da una buona intelligenza artificiale, e possono persino venire a cercarvi con una torcia, reagendo in modo realistico a ogni stimolo esterno. Peccato che non sia stato implementato un sistema per distrarre i nemici come avviene in altri titoli – per intenderci, non è possibile lanciare oggetti o fischiare. Di poco conto qualche leggero bug e qualche compenetrazione poligonale poco gradevole.

Grazie alla videocamera e al suo microfono è possibile captare i suoni e le voci dei nemici attraverso i muri oppure vedere al buio (che è più nero del nero) per mezzo della modalità infrarossi, che rievoca le atmosfere di film mockumentary come REC o The Blair Witch Project.  Bisogna però fare attenzione alla carica della batteria, che se esaurita, rende impossibile l’utilizzo dell’apparecchio. Si rivelano dunque indispensabili le batterie sparse in giro per la mappa di gioco, oltre che le bende, per curare le ferite subite e ripristinare la salute di Blake. È un dettaglio interessante – anche se meramente cosmetico – il colore del led frontale del pad, che da bianco passa a giallo, arancione e poi rosso lampeggiante per indicare il livello di salute di Blake. L’inventario è parte integrante del gioco stesso: la visuale si sposta in basso sulle tasche della giacca (per usare batterie e bende) e sul display digitale della videocamera (per rivedere registrazioni e consultare documenti vari). L’esperienza è del tutto lineare, quasi su binari, senza particolari possibilità di approcci secondari se non qualche piccolissima opportunità di scorciatoia. Le ambientazioni sono tuttavia abbastanza ampie, e non si ricava più di tanto l’impressione di trovarsi in una scatola chiusa dai confini ben visibili. Oltre al villaggio, sono presenti anche delle sezioni ambientate in una scuola, che fungono più da intermezzi narrativi piuttosto che da veri e propri segmenti di gameplay. Praticamente perfetta la colonna sonora, con tracce musicali non numerose ma ottimamente integrate nelle varie situazioni, nonché una rumoristica di sottofondo davvero agghiacciante. Il doppiaggio, disponibile unicamente in lingua inglese, ma con testi a video in italiano, è di pregevole fattura e la recitazione è di buon livello. La grafica è lodevole, complice sicuramente il gioco atmosferico tra zone d’ombra e sezioni al buio: le texture sono comunque straordinariamente dettagliate anche nelle zone in luce, e i personaggi risultano ben costruiti a livello poligonale – per quanto le figure secondarie siano meno definite.

 

 

 

 

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È sempre un piacere constatare come un team composto da sole 16 persone sia in grado di sviluppare un prodotto così valido sia tecnicamente che esteticamente in soli due anni e mezzo. Red Barrels con Outlast 2 ha saputo dare una lezione di know how alle case più imponenti puntando molto più sulla qualità e sull’esperienza finale, piuttosto che sulla quantità e su inutili fronzoli che sempre più spesso si notano nel settore. Qualche approfondimento in più nella trama e un pizzico di novità nel gameplay non avrebbero guastato, ma certo è che siamo comunque di fronte a un ottimo prodotto. Non servono trecento ore o qualche superflua modalità multiplayer a salvare un titolo, se alla base non c’è un buon background e la volontà di focalizzarsi su qualcosa di diverso dal mero guadagno. Consci di questo, i Red Barrels hanno agito di conseguenza. Jackpot, ragazzi.

semafori indie-03

Good

  • Sceneggiatura accattivante, con richiami al mondo del cinema.
  • Atmosfera azzeccatissima.
  • Longevità discreta.
  • Gameplay coinvolgente.

Bad

  • Si potevano approfondire meglio alcuni passaggi della trama.
  • Pochissime innovazioni rispetto al precedente.
  • Una maggiore interattività in generale non avrebbe guastato.
8.6

Con il joypad in mano fin da quando aveva 5 anni, ai tempi della PlayStation One, è laureato in Scienze della Comunicazione con specialistica in Editoria. Grande appassionato di cinema, doppiaggio, letteratura e videogiochi, lo chiamano internauta videoludico, o giocatore incallito.