Se il Nameless One fosse l'ispettore Derrick a Casablanca

Disco Elysium: The Final Cut

Sviluppatore: ZA/UM
Distributore: ZA/UM
Formato: Digital+retail
Localizzazione: Inglese, Mandarino, Spagnolo, Coreano, Portoghese, Francese, Tedesco, Russo
Versione Testata: PC
Copia regolarmente acquistata dal membro della redazione.

Arriviamo finalmente a scrivere anche noi di questo chiacchieratissimo titolo, complice l’uscita, il 31 marzo di quest’anno, della cosiddetta Final Cut – a conti fatti, una grossa patch che porta il gioco alla versione considerata definitiva, accessibile a tutti i possessori senza spese ulteriori.

Rompiamo gli indugi e veniamo subito al dunque: Disco Elysium, creatura del designer e autore estone Robert Kurvitz, è ancora un RPG proveniente dall’Europa dell’Est (dopo una certa trilogia che ben conosciamo), è ancora un prodotto vistosamente figlio di quelle terre ed è ancora, soprattutto, un punto di svolta per il genere. Anzi, dovremmo parlare di “generi” al plurale, giacché con questo titolo ci troviamo a lambire i lidi dell’adventure, persino nella sua versione testuale: d’altra parte, si tratta pur sempre di filoni germinati da uno stesso tronco, prima di un lungo, e da sempre irrisolto, divorzio.

Fin dalla creazione del personaggio possiamo dare un primo sguardo alle fonti da cui Disco Elysium trae ispirazione, sia alle novità da esso introdotte. Sul primo fronte, è subito evidente il debito contratto con il seminale Planescape: Torment, per il fatto che possiamo definire il personaggio solo nei suoi parametri iniziali, non per l’aspetto né per il nome – preludio al fatto che anche Disco Elysium, come del resto The Witcher, vede un protagonista immemore di sé e del mondo e in cerca d’identità. Non c’è dubbio però che il sistema di skill risulti del tutto peculiare, incentrato com’è su una tassonomia molto particolareggiata di quelle che altro non sono che le facoltà fisiche e mentali di una persona comune. E veniamo qui a ciò che di Disco Elysium è realmente caratteristico.

UNA SAPIENTE REINVENZIONE

Disco Elysium

Lo sconcertante menu delle abilità

Da un lato, Kurvitz ci offre un’ambientazione del tutto originale, minutamente definita fin nei costumi e nei gerghi, dai contorni steampunk e colorata dall’esperienza di un paese dell’Est europeo. Elysium è un mondo tutto da scoprire, solcato da lacerazioni sia geografiche (e persino fisiche) che ideologiche, a loro volta concentrate nella città-crocevia di Revanchol, dove il nostro eroe si sveglia dopo una notte brava di cui non ricorda nulla. Non impieghiamo molto a scoprire che stiamo interpretando il ruolo di un agente di quanto di più simile a un corpo di polizia Revanchol disponga. Siamo stati assegnati a trattare un delicato caso di omicidio, per risolvere il quale siamo stati affiancati all’algido tenente Ken Kutaragi, unico (almeno fino a un certo punto) comprimario fisso di un party sempre e comunque a due.

Il motore di gioco è del tutto simile all’Infinity Engine dell’originale Baldur’s Gate – ed è senz’altro l’aspetto che più risente delle limitazioni di budget – con tanto di hot spot da scoprire tenendo premuto il tasto TAB – ma non c’è dubbio che l’attenzione del giocatore venga soprattutto attirata dalla colonna dei dialoghi sulla destra. Disco Elysium sembra infatti prendere le mosse dal già citato Torment nell’offrire un’interazione retta sui dialoghi a risposta multipla e sui “tiri” connessi alle diverse abilità del personaggio. Stavolta però si avverte l’ambizione di oltrepassare i limiti a cui Chris Avellone, a suo tempo, fu costretto dalla necessità di ricorrere all’inadeguato regolamento di Advanced Dungeons & Dragons e di inserire molti combattimenti, il che inficiava almeno in parte l’esperienza ruolistica e il senso di ricerca interiore (ed esteriore) del Nameless One.

La colonna di dialogo (con tanto di opzione per un tiro su un’abilità) è ciò su cui poserete gli occhi più spesso

Kurvitz ha inteso ricreare quell’esperienza perfezionandola sulla base di un regolamento tutto suo, e ci è riuscito grazie a un’idea semplice, come sono le più geniali: conservando uno schema di base molto tradizionale, fatto di scelte, tiri di dado sulle skill e dialoghi scriptati, ma rappresentando gli eventi su una scala molto più minuta, avvicinando al massimo livello il giocatore al suo avatar, e mostrando il processo conoscitivo attraverso una grana più fine. Cosa significa, nella pratica? Da un lato, abbiamo un sistema di dialoghi giocoforza scriptati, ma dalle ramificazioni sottilissime, forti di una quantità enorme di variabili gestite da (proporzionalmente) grandi volumi di testo; dall’altro, un’altrettanto fitta rete di quest, mille incarichi piccini, intricati, sviluppati intorno a piccole cose (per esempio, all’inizio, trovare i nostri effetti personali, o un nastro per esibirci al karaoke), e che convergono in modo sorprendente.

RUOLISMO SENZA LIMITISMO

Il sistema ruolistico di Disco Elysium ci invita a interpretare un protagonista che deve risolvere una situazione molto più grande di lui mentre si trova sull’orlo della dissociazione, e lo evinciamo dal fatto che le sue stesse facoltà psicofisiche – quelle che siamo chiamati a incrementare salendo di livello – gli parlano intromettendosi nei dialoghi, con la sua stessa voce di volta in volta alterata, forte di un doppiaggio (pressoché completo nella Final Cut) realmente superbo. Una scelta dopo l’altra, mentre scopriamo il mondo circostante e le correnti ideologiche che lo caratterizzano, arriviamo a modellare il nostro investigatore con un lavoro di introspezione mai del tutto sotto il nostro controllo. Le operazioni di gioco, anche le più banali, sono sottoposte infatti a un costante fastello di sguardi, atteggiamenti, sottili persuasioni e sforzi di manipolazione (a volte latrici di danni, sia fisici che morali, cosa che rimpiazza del tutto il combattimento), variazioni di tono, mentre le facoltà della logica, della padronanza di sé, dell’empatia, della coordinazione mano-occhio, della libido e così via irrompono sulla scena influenzando ogni nostra interazione con terzi, agendo come veri e propri attori con tanto di ritratti propri – deliziosi, a questo proposito, gli acquerelli che distinguono i personaggi, capaci di redimere l’altrimenti modesta grafica in game. A ciò si aggiunge sia il sistema di equipaggiamento, che prevede solo oggetti di utilità e abiti capaci di conferire bonus e malus specifici alle skill; sia l’innovativo armadietto dei pensieri, un’interfaccia che ci consente di ruminare su varie questioni che ci si presentano fino a che, trascorso il tempo virtuale necessario (altra cosa da gestire attentamente), non irrompono in ricordi e intuizioni portatori di ulteriori benefici e penalità, e capaci di influenzare l’andamento dei dialoghi in modi sottili – il protagonista, in effetti, tende a parlare in base a ciò che decidiamo di fargli passare per la testa.

Il “thought cabinet” in tutto il suo splendore

Ultimo ma non meno importante è che la ricerca di sé è anche una ricerca di equilibrio: non vorremo infatti specializzare troppo il nostro personaggio visto che, se investiamo molti punti in una certa facoltà, rischiamo di portarla all’estremo e di farne un difetto. Non ci insegna a sufficienza la vita dei pericoli dell’essere troppo empatici, troppo logici, o troppo fisici, troppo assertivi? Ecco, qui c’è la summa di tale insegnamento. In questo senso cambia anche la funzione del party, visto che il tenente Kutaragi, serio e vigile ma anche serafico e comprensivo, farà da finestra sul mondo per il pazzoide che ci tocca scarrozzare, temperandone le oscillazioni.

A sorreggere il tutto una storia di fantapolitica molto ramificata, dalla scrittura magari non eccelsa in assoluto – o perlomeno, c’è qualche compiacimento weird e qualche figura macchiettistica di troppo per i miei gusti – ma di sicuro sempre competente e tale che, in ambito videoludico, “avercene”. L’esperienza di un autore cresciuto in una terra di confine è ben visibile, e non mancheremo di riflettere su questioni di polarizzazione (molto attuali, si direbbe…), sul significato dello schierarsi – anche politicamente; e in questo senso la Final Cut completa il quadro con nuove quest specifiche –, sulla scala dei singoli rapportata a quella, soverchiante, degli eventi, guidando un protagonista che deve risolvere una faccenda sì tanto urgente, e tale che ne va della sua stessa vita, ma in fondo capace di cambiar poco nel grande schema delle cose. Ciò dovrebbe fermarci? È quel che va verificato, un tiro di dado virtuale alla volta.

verde

Tirando le somme Disco Elysium, oltre che valido in sé, e capace come pochi altri titoli di restituire l’illusione di un’esperienza realmente ruolistica, è un titolo da provare senz’altro anche solo per le direzioni, potenzialmente fecondissime, che imprime ai due generi di riferimento – l’RPG e l’adventure. Se ne siete appassionati non fatevelo scappare, badando però che si regge tutto su volumi di testo ingenti e impegnativi, che richiedono una competenza avanzata in una delle lingue disponibili, fra cui manca ancora l’italiano. Se questo è anche solo lontanamente un problema, il consiglio è di attendere la localizzazione e di evitarlo nel mentre, o non ne ricaverete che frustrazione.

Good

  • Ambientazione e scrittura all’altezza delle ambizioni.
  • Design ruolistico minutissimo e indovinato.
  • Focus sul testo e sul dialogo, per un’esperienza calma e compassata.

Bad

  • ... un’esperienza fin *troppo* calma e compassata, per certi palati.
  • Motore grafico niente più che funzionale.
  • Inapprocciabile senza un’ottima competenza in una delle lingue disponibili.
8.5

Spirito contemplante semilibero, tra il regno degli Asura e il West.