Nel deserto il tentatore non è il diavolo, è il deserto stesso

Amnesia: Rebirth

Amnesia: Rebirth

Sviluppatore: Frictional Games
Distributore: Frictional Games
Formato: Digital+retail
Localizzazione: Inglese con sottotitoli in italiano
Versione Testata: PS4
Ringraziamo il publisher per averci fornito una copia review

Nel mondo dell’horror, specialmente nel campo di espressioni squisitamente visive quali cinema o videogioco, la dicotomia luce/ombra ha sempre ricoperto un ruolo di primo piano – che si parli dell’agguerrita Ripley che si aggira per i corridoi della Nostromo inseguita da un alieno le cui forme si mimetizzano perfettamente nell’oscurità soverchiante oppure di cheerleader e quarterback cacciati nel cuore della notte dall’assassino mascherato di turno; saper sfruttare quell’area del cervello umano che identifica istintivamente il buio come pericolo e la luce come salvezza è di fondamentale importanza per garantire una perfetta immedesimazione nei panni della preda.

Lo comprese bene a suo tempo Frictional Games, già responsabile di capolavori dell’orrore quali il fantascientifico Soma, la saga di Penumbra e soprattutto l’acclamatissimo Amnesia: The Dark Descent. A distanza di ormai parecchi anni, la software house svedese ha deciso di riprendere in mano le redini della serie ammiraglia regalandoci un vero e proprio “rebirth”, dopo un secondo capitolo – A Machine for Pigs – decisamente sottotono a cura di The Chinese Room. In Amnesia: Rebirth vestiamo i panni di Tasi Trianon, archeologa e appassionata di disegno in viaggio verso un sito monumentale in Algeria. Il suo abbigliamento, quello del marito Salim e gli interni dell’aereo in cui si trovano suggeriscono subito l’ambientazione temporale del gioco, vale a dire la fine degli anni ’30. Come prevedibile, la quiete dura ben poco: l’aereo si schianta nel bel mezzo del deserto algerino e la protagonista riapre gli occhi completamente sola tra i resti della fusoliera.

Amnesia: RebirthDa questo momento in poi, la sua (e nostra!) priorità è quella di rimettere insieme i frammenti di ricordi e scoprire cosa è stato degli altri membri dell’equipaggio e soprattutto dell’amato Salim: come facilmente prevedibile dal titolo, Tasi soffre infatti di amnesia da trauma. Gli unici strumenti a disposizione sono i documenti sparsi per tutta l’area di gioco e a un taccuino che si arricchisce di note e disegni man mano che riaffiorano le memorie.

A fare da palcoscenico alla prima parte dell’avventura è la luce accecante del deserto: l’aria contorta dal caldo delle dune fa immediatamente capire che, almeno in questo caso, la salvezza si cela nelle scarse zone di ombra. Man mano che si raccolgono le tracce lasciate dai sopravvissuti allo schianto, le cose iniziano però a percorrere binari più sinistri: nella mente di Tasi riaffiorano infatti ricordi che non dovrebbe esserci, déjà-vu inquietanti sommati a frequenti crisi d’ansia e veri propri attacchi di panico che raggiungono il proprio culmine quando è spaventata o sotto stress.
Mettendosi ben presto alle spalle un incipit insolitamente luminoso per un gioco horror, Amnesia: Rebirth ricade immediatamente nelle vecchie consuetudini del genere: si percorrono anguste e oscure gallerie armati solo di fiammiferi ed eventualmente di una lanterna a olio capace di consumare come una supercar. Affrontare l’oscurità senza accendere una qualsiasi fonte di luce è comunque possibile, ma al costo della salute mentale della povera Tasi, che subisce visioni sempre angoscianti fino allo svenimento. A quel punto, si viene riportati al checkpoint precedente senza una vera e propria schermata di game over.
La visuale in prima persona, insieme alla consapevolezza immediata della gravidanza di Tasi, aiuta il giocatore a immedesimarsi perfettamente nei panni di una protagonista piuttosto fragile e indifesa, incapace di affrontare le creature che frequentano le rovine delle città abbandonate ma costretta piuttosto a darsi alla fuga con la speranza di non venire notata. A rendere l’impresa ancora più ardua ci pensano i vari enigmi, principalmente basati sulla fisica e la combinazione di diversi oggetti.

amnesia: rebirth

Il reparto grafico, pur non facendo gridare al miracolo (sfrutta infatti lo stesso motore grafico di Soma rilasciato nell’ormai lontano 2015, particolarmente debole sul fronte dei modelli poligonali dei personaggi) è comunque competente. Le panoramiche sono riuscite e coinvolgenti, specialmente quando lo scenario si apre sul deserto, su antiche rovine o sugli sfondi alieni a cui Tasi riesce ad accedere tramite la bussola dimensionale di cui è dotata. L’assenza di indicatori a schermo – ad eccezione di qualche occasionale aiuto fornito all’inizio dell’avventura – contribuisce all’immersione. La colonna sonora si trattiene su proporzioni minimali: i nudi suoni ambientali vengono interrotti solo da qualche stringa di violino nei momenti in cui la tensione raggiunge il massimo, sicché l’attenzione del giocatore è costretta a restare sempre all’erta.
La trama, che spiega retroattivamente anche gli eventi di Amnesia: The Dark Descent, è dispensata con maestria per rispondere gradualmente alle molteplici domande che emergono sin dall’inizio dell’esperienza. Nonostante ciò, i temi trattati (su tutti quello della maternità e del senso di perdita) non risultano particolarmente innovativi: da metà gioco in poi, gli amanti dell’horror non avranno problemi ad anticipare i colpi di scena. Una nota di merito, però va spesa per il sapiente impiego del folclore islamico al posto di immaginari occidentali ormai fin troppo abusati: i documenti rinvenuti nel mondo di gioco raccontano infatti storie suggestive di Ghul, Djinn e di una misteriosa dea del deserto, che ben si combinano con le spiegazioni più razionali che il gioco fornisce man mano che si procede.

Amnesia: RebirthAmnesia: Rebirth paga essenzialmente il prezzo della fama del suo predecessore, vero caposcuola di una buona fetta del genere horror nell’ultimo decennio; cosicché Rebirth finisce per sembrare poco innovativo nonostante siano stati proprio i Frictional Games a rendere così popolari certe meccaniche e idee di gameplay. Si sarebbe forse potuto sfruttare di più l’idea del ribaltamento del rapporto luce/ombra che si sperimenta nelle fasi iniziali, caratterizzate dai toni ambrati del pericolosissimo sole del deserto e dall’inquietudine emanata dalle antiche rovine algerine. Paradossalmente, nel momento in cui ci si inoltra nei cunicoli bui tale inquietudine finisce per venire meno, e l’immersione viene spesso interrotta a causa di meccanismi di gameplay eccessivamente rigidi: Tasi soffre costantemente della mancanza di illuminazione ma allo stesso tempo si incaponisce nel non voler raccogliere un numero di fiammiferi superiore a dieci.
Visto il prezzo contenuto e la regia competente, resta comunque un must have se siete amanti dell’horror psicologico e se non pretendente innovazione a tutti i costi.

verde

8

A differenza degli altri mammiferi, non è capace di mantenere la temperatura corporea costante: a causa di questa caratteristica, che lo rende simile ai rettili, il recensore vive tra console accese e schede video surriscaldate per tutto l'anno. La sua caratteristica lentezza lo rende la preda perfetta per il Caporedattore Horribilis. Abbandona il suo nido di cavi e controller solo occasionalmente, per nutrirsi e leggere e scrivere storie di fantascienza.