Qualunque sia l’opinione maturata in proposito, non c’è dubbio che il tema della discriminazione di genere nel settore dello sviluppo videoludico è salito prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni e costituisce una materia “calda” che solleva non di rado polemiche molto accese. Cosa accade però quando si torna indietro nel tempo e vengono alla luce episodi e circostanze di venti o trent’anni fa?
Grazie a Brandon Sheffield di Necrosoft Games, in questi giorni gli utenti occidentali di Twitter hanno potuto leggere la testimonianza di Hiroko Yokoyama, grafica e illustratrice attiva negli anni ’90 nel settore dei videogiochi (per esempio in God Slayer/Crystalis di SNK), ai tempi dell’ingresso repentino delle nuove tecnologie 3D. Secondo Yokoyama, era pratica comune impedire alle donne operanti nel settore di apprendere i fondamenti della programmazione e della grafica tridimensionale. La sua richiesta di partecipare a seminari e corsi sull’argomento sarebbe stata rifiutata dai suoi superiori con la scusa che “le donne sposate e con figli non sono in grado di lavorare correttamente” e con l’accusa di essere una “otaku grassa e brutta”.
L’episodio narrato da Yokoyama e riportato da Sheffield si affianca alle recenti polemiche sollevate dalle dichiarazioni omofobe di Koichi Sugiyama, e riflettono in buona parte i numerosi nodi irrisolti della società e del mercato del lavoro giapponesi, saldamente in mano a una classe dirigente notoriamente molto conservatrice. Le donne, pur inserite in vari contesti professionali, sono considerate molto spesso una risorsa “a perdere” e la loro formazione non viene ritenuta prioritaria, tenendo conto del rischio di abbandono del posto di lavoro per ragioni familiari.
La storia completa può essere letta in questo thread.