In questo periodo sto finalmente recuperando Embed With Games. Cara Ellison nel suo giro intorno al mondo incontra a Londra Karla Zimonja, cofondatrice di The Fullbright Company. Le due discutono un po’ di videogiochi, e a un certo punto Zimonja dice
I say I think games are much more about theatre than they are about film; the possibility space is much more explicit in both, they work live, they have an audience participating, there’s a performative aspect. […] I think theatre in the round has much more to do with games than we’ve previously given credit for.
Leggendo queste frasi ho subito pensato a Game Happens perché il tema di quest’anno è “on stage”, oltre che per l’approccio aperto alle sperimentazioni.
Ma cos’è Game Happens?
Game Happens è un festival internazionale dedicato al game design e, più in generale, all’experience design che si tiene ogni anno all’interno della straordinaria cornice di Villa Bombrini, a Genova. L’edizione 2017, che si tiene venerdì 23 e sabato 24 giugno, indaga il rapporto tra videogiochi e arti performative attraverso una serie di conferenze e uno showcase (ad ingresso gratuito) di titoli indipendenti provenienti da tutto il mondo. Tra gli speaker anche quest’anno figurano ospiti di un certo spessore, tra cui Rhianna Pratchett (sceneggiatrice degli ultimi Tomb Raider, Bioshock Infinite, Mirror’s Edge e della serie di Overloard), Paolo Pedercini di Molleindustria, Hannah Nicklin (scrittrice, game designer e accademica attiva nella ricerca delle convergenze tra videogiochi e teatro), Elizabeth Simoens (ballerina e autrice di videogiochi) e Simon Wilkinson (artista transmediale). La lista completa dei relatori può essere consultata qui, mentre per quella dei titoli in esposizione potete recarvi qui.
Grazie al fondamentale apporto del veterano di mille eventi Honoo5 (qui il suo nuovo blog) ho rivolto alcune domande alla gentilissima Marina Rossi, membro storico del team di sviluppo Urustar e attualmente una delle menti dietro a Game Happens.
Come è nato Game Happens? Quali erano le motivazioni dietro all’organizzazione della prima edizione targata 2014? Come si è evoluto l’evento negli anni?
[M.Rossi] Game Happens è nato nel 2014 come costola di Urustar, studio indipendente con sede a Genova che abbiamo poi chiuso qualche mese più tardi. Come Urustar abbiamo ricevuto numerose mail da studenti e studentesse che ci chiedevano consigli su come fare a iniziare a lavorare nell’industria dei videogiochi. Nel tempo abbiamo iniziato a mettere insieme una piccola guida con riferimenti e risorse, ma ci siamo presto resi conto che un incontro sarebbe stato l’ideale. Abbiamo così invitato un paio di contatti dall’Olanda (tra cui Rami Ismail di Vlambeer) affinché portassero la propria esperienza. La prima edizione l’abbiamo organizzato in un mese, ma – alla fine – ha incredibilmente funzionato.
Quest’anno la manifestazione ha un sottotitolo tutto nuovo: On Stage. Cosa dobbiamo aspettarci da questo tema e come mai avete scelto di utilizzarlo?
[M.Rossi] L’interesse intorno alla VR ci ha portato ad analizzare le esperienze da un duplice punto di vista: da un lato l’aspetto performativo di chi indossa il visore, dall’altro lato la dimensione passiva di molte esperienze VR che ricorda quella del pubblico a teatro. Il punto di partenza è stato proprio questo: la realtà virtuale viene spesso associata al cinema, ma le situazioni sono più vicine a quelle del teatro immersivo. Da lì è stato naturale contattare ospiti che sono anche performer e transmedia artist, per cercare di esplorare la narrazione e il design dell’esperienza.
Il vostro è probabilmente l’appuntamento più “internazionale” del panorama videoludico italiano, tra ospiti e giochi indipendenti provenienti da tutto il mondo. Quali sono le difficoltà dietro alla creazione di un evento del genere? È difficile coordinarsi considerando che non vivete tutti in Italia? Come riuscite a convincere i grandi nomi a venire in Italia? È stato difficile maturare un dialogo con le istituzioni per ottenerne un supporto economico?
[M.Rossi] Le istituzioni che ci supportano (Società per Cornigliano e Genova-Liguria Film Commission) sono sempre state con noi fin dal primo momento, e continuano a rendere possibile Game Happens. Quest’anno anche due studi indipendenti italiani ci hanno offerto un supporto per noi fondamentale. In generale però facciamo fatica con tutti gli altri interlocutori: per chi non è del settore non riusciamo adeguatamente a presentarci come di interesse generale, mentre per chi è del settore siamo poco commerciali e quindi il ritorno non è monetizzabile.
A quali altri eventi vi ispirate? La scelta di proporre delle conferenze strettamente in inglese e quella di imporre un codice comportamentale è data dalla necessità di dare un respiro più internazionale a Game Happens?
[M.Rossi] Abbiamo sempre creduto in un approccio e in un dialogo internazionale, perché se si vuole analizzare lo stato dell’industria non possiamo permetterci di discutere solo tra persone che parlano l’italiano. Il codice di condotta vuole essere prima di tutto una dichiarazione di intenti: anche chi non ci conosce può immediatamente capire il nostro approccio e le nostre posizioni. Crediamo sia una nostra responsabilità quella di assicurare che l’ambiente sia il più possibile accogliente, soprattutto per le persone che subiscono meccanismi di oppressione espliciti o impliciti, dentro e fuori dall’industria.
Nel vostro showcase ospitate anche videogiochi non tradizionali, in grado magari di stuzzicare i limiti del medium. Come avviene il processo di ricerca e selezione?
[M.Rossi] Inizialmente facevamo un lavoro di scouting e selezionavamo direttamente noi i giochi da portare in showcase, ma negli anni abbiamo iniziato a raccogliere candidature.
Questo è il primo anno in cui ci affidiamo completamente a una call for projects e i risultati sono molto soddisfacenti. Oltre 80 giochi proposti, provenienti da tutti i continenti: durante il processo di selezione abbiamo provato la bellissima emozione di fare il giro del mondo attraverso i giochi indipendenti. Un sottogruppo del team si occupa di provare i giochi: ne discutiamo animatamente per un paio di settimane, cercando di trovare il punto di equilibrio tra valore intrinseco del progetto, coerenza con il tema e con gli altri giochi selezionati, e infine limiti degli spazi che abbiamo a disposizione. Quest’anno abbiamo 30 giochi di cui la metà viene portata da altrettanti team provenienti da UK, USA, Francia, Germania, Svizzera e Olanda. Non abbiamo mai avuto così tanti ospiti internazionali e siamo molto soddisfatti.
Considerando anche le esperienze che avete avuto ai tempi di Urustar, come giudicate la nostra scena indipendente se confrontata a quelli degli altri paesi europei?
[M.Rossi] La scena italiana sta resistendo e si sta in qualche modo consolidando. Siamo però ancora molto indietro rispetto agli altri paesi europei, soprattutto dal punto di vista della comunità: c’è ancora poca collaborazione, una scarsa visione di insieme e poca propensione al dialogo – poca unità, in generale.
In passato avete ospitato progetti museali, spesso costruiti attorno ad esperienze VR. Con l’uscita ufficiale sul mercato, avete visto un incremento di interesse, da parte degli enti culturali, verso questo tipo di periferiche?
[M.Rossi] Sicuramente la percezione è che le richieste di esperienze VR siano in crescita. I musei e le istituzioni che riescono a investire in prodotti interattivi sono le location perfette: offrono un approfondimento in grado di coinvolgere e di passare messaggi ed emozioni anche molto forti. Tutto il contrario rispetto alle classiche schede informative.
Un articolo scritto da Federico [Fasce, cofondatore di Urustar e di Game Happens] qualche anno fa elencava alcune delle difficoltà a cui una piccola azienda digitale italiana deve far fronte. Game Happens, oltre ad essere una risorsa per creativi, può facilitare la comprensione delle potenzialità offerte da questo tipo di tecnologie anche per figure esterne a quelle dell’industria videoludica?
[M.Rossi] Abbiamo cercato nei anni di raggiungere figure professionali che orbitano attorno a user experience, user interface e interaction design, che sicuramente possono trarre vantaggio da una contaminazione ludica. Abbiamo invece incontrato qualche difficoltà a coinvolgere agenzie di comunicazione che vedono ancora i giochi come quiz, punti e badge: Game Happens dovrebbe essere l’occasione per mostrare un approccio diverso, ma le difficoltà di dialogo sono ancore presenti. Il coinvolgimento di Genova-Liguria Film Commission porta invece a Game Happens figure del mondo del cinema e del videomaking, e di questo siamo estremamente soddisfatti.
Oggi, nel 2017, cosa consigliereste a uno sviluppatore indipendente italiano le cui idee vadano oltre alla concezione tradizionale del videogioco? Come potrebbe muoversi?
[M.Rossi] Le regole per chi vuole iniziare a fare giochi sono forse un po’ cambiate negli ultimi anni. È sempre importante iniziare a lavorare a piccoli prototipi personali (anche attraverso le game jam) per iniziare a costruirsi un portfolio, così come partecipare a eventi, anche come volontari per imparare a conoscere i meccanismi dietro le quinte.
Oltre all’evento principale a Genova, siete comunque attivi su altri fronti, ad esempio con la partecipazione all’Internet Festival di Pisa o con la traduzione del gioco We Become What We Behold di Nicky Case. Che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?
[M.Rossi] Sicuramente un periodo di pausa. Quattro anni sono tanti e abbiamo bisogno di recuperare un po’ di energie e strutture dopo questa edizione – la più complessa e faticosa. Solo dopo capiremo in che modo proseguire.
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