Suvvia, non è che ci sia poi molto da aggiungere. L’annuncio di Bethesda, che ha dichiarato esplicitamente di non essere più intenzionata a inviare con largo anticipo i codici review dei propri giochi ai siti specializzati, orientandosi piuttosto verso la ben più facile – e controllabile – fruibilità degli youtuber, ha scatenato una tale ridda di commenti, riflessioni e approfondimenti da rendere l’universo videoludico internettiano un luogo ancora più querulo e assordante di quanto già non sia. E ce ne voleva, beninteso.
Si potrebbero in effetti avanzare numerosissime considerazioni dietrologiche e preliminari in merito alla qualità dell’offerta della software house americana (che da queste parti abbiamo sempre ritenuto indifendibile, Morrowind a parte); a come il tristissimo Fallout 4 abbia sostanzialmente fallito il compito di emulare i fasti del pur pessimo predecessore; a come l’operazione Skyrim Special Edition si configuri come l’ennesimo palloncino colorato acchiappa-gonzi. Ma a che pro?
Piuttosto, è stato interessante – e ha anche ingenerato un po’ di tenerezza, qui in redazione – verificare le reazioni della stampa videoludica ‘seria’, quella ‘impegnata’, composta dai ‘veri professionisti’, che ha sollevato compatta gli scudi lamentando l’imminente fine del giornalismo ‘di qualità’, in favore delle stelle del tubo che – s’intende! – non potranno far altro che accelerare l’irrimediabile decadenza del settore. Non lo sentite anche voi, il borbottio indignato e un po’ borghesotto di questi impettiti Catoni del videoludo, indecisi se scagliarsi ora contro quella stessa software house a cui prima regalavano gli otto e i nove per evitare di farsi blacklistare il sito e vedersi negare l’accesso alle fiere che contano, quelle con la gente giusta nonché le cosplayer ubertose e discinte? Non percepite anche voi l’aroma di terga bruciacchiate di questi autonominatisi alfieri della serietà giornalistica, assurti al ruolo di difensori di uno sbandierato professionismo, ove per ‘professionismo’ (specie in Italia) si intende quasi sempre l’essere entrati fortunosamente a far parte a metà anni ’90 di una cerchia magica che gode dei privilegi della categoria per diritti d’età e di gerarchia, e che magari si picca anche di offrire al proprio pubblico della ‘vera riflessione critica’?
La realtà, banalissima ma chissà perché (colpevolmente) incomprensibile a molti, è che del ‘professionismo’ e della ‘critica’ le software house non se ne fanno un cazzo. Le software house vogliono vendere. E in un universo di early access e preordini, un universo in cui la massa degli utenti può farti crollare le valutazioni su Steam e Metacritic nel giro di mezza giornata, la scelta più logica è quella di direzionare le proprie risorse economiche e promozionali verso il medium che ha più possibilità di controllare tale massa. A Bethesda e compagnia frega cazzi del tuo professionismo, o del fatto che il tuo sito sia così professionale da pagare persino gli stipendi con tredicesima ai capiredattori – e magari, aggiungo, schiavizzare a titolo gratuito decine di minions per i comunicati stampa. A Bethesda e compagnia frega piuttosto che i milioni di fan di un PewDiPie, o di un FaviJ (per restare nella nostra fogna) vengano a sapere che i propri giochi sono una figata pazzesca. Punto.
Prima eravate voi, i megafoni privilegiati di Bethesda e compagnia. Tra poco, forse, non più.
Fatevene una ragione, su. Tanto per qualche anno ancora avrete le vostre tredicesime, quindi il regalino a Natale magari ci scappa.